L’Italia delle sagre agricole e popolari è piena di premi per la migliore uva: il primato si misura spesso con le dimensioni “monster” del grappolo più grosso prodotto in zona.
Fieri viticoltori posano soddisfatti a fianco di enormi grappoli (7, 8, 10kg?) oppure condividono orgogliosi foto di piccoli bambini (normalmente figli o nipoti) a fianco di uva enorme, con acini più grandi delle loro bocche.
Vengono trascinati in questa corsa al gigantismo anche gli anelli successivi della catena commerciale: dal commerciante all’ingrosso (che si vanta di offrire “qualità extra, max. 4-5 grappoli” nella cassetta da 7kg) fino al dettagliante che, orgoglioso, espone gli enormi grappoli sul punto vendita.
Ma poi quest’ansia da prestazione fa inceppare tutto il meccanismo e inizia a produrre effetti nefasti proprio nel momento in cui si arriva al punto di arrivo: il consumatore.
Una qualsiasi persona che desidera acquistare uva si trova davanti a due problemi fondamentali quando entra in un punto vendita a libero servizio:
Quindi il grappolo enorme venduto in rinfusa, vanto del produttore e di tutti gli anelli della catena commerciale, si tramuta in un incubo per il consumatore che entra in un supermercato (le vendite della grande distribuzione rappresentano oltre il 50% delle vendite di ortofrutta in Italia).
Ecco come si presentava un’uva Italia extra a inizio stagione venduta da una delle migliori marche pugliesi in un punto vendita di un primario attore della grande distribuzione italiana.
Quindi cosa bisogna cambiare? Tutto: dalla produzione agli imballaggi, fino al display nei supermercati. In campo occorre produrre grappoli più piccoli per confezionarli in cestini da 500g o 1000g con minori costi.
Perché, al contrario di quello a cui ci hanno abituati, nei cestini dobbiamo mettere l’uva migliore, la più curata, protetta, integra. Il consumatore pretende che ogni singolo acino sia perfetto, e questo semplicemente non è possibile se l’uva è venduta sfusa.
Il maggiore supermercato inglese ha una tolleranza di un cestino su 100 con un acino guasto. Quindi se su 100 cestini ce ne sono 2 con un acino guasto la qualità non è considerata accettabile.
Dobbiamo fare il possibile per dare al consumatore un’uva che si possa mangiare al buio, come un pacchetto di pop-corn al cinema. Ogni singolo acino dovrebbe essere buono e sano.
Con quali risultati?
Cioè maggiore redditività e soddisfazione del consumatore. Non ci riusciremo mai se continuiamo a vendere l’uva in rinfusa.
Ma c’è anche chi non ha bisogno dei miei consigli: ad esempio questo fruttivendolo di Tel-Aviv (Israele), che nella sua bancarella espone uva magnifica. Ma attenzione: lui conosce e controlla ogni grappolo, ogni acino e ogni consumatore che si avvicina al suo banco.
(foto: Thomas Drahorad, Tel Aviv 2017)
L’articolo originale è stato pubblicato su Linkedin con il titolo Uva da tavola: è facile aumentare la redditività e ridurre gli sprechi sul pdv
Thomas Drahorad · 3 novembre 2017